Infondo lo sappiamo tuttə: il rosa è un colore da femmine e il blu un colore da maschi. E sappiamo anche che i maschi sono per natura forti e autorevoli, mentre le femmine generalmente insicure e poco spavalde.
Mascolinità fragile: Stefano Paoloni
Sembra essere di questo parere anche Stefano Paoloni, segretario generale del Sindacato Autonomo di Polizia, che in questi giorni ha criticato la fornitura di mascherine FFP2 di colore rosa in alcune questure italiane. In una lettera pubblica al Capo della Polizia — infatti — Paoloni definisce indecorosi tali dispositivi di protezione, poiché il colore
“risulta eccentrico rispetto all’uniforme e rischia di pregiudicare l’immagine dell’Istituzione”.
Ma quanta verità si cela dietro al presupposto che il rosa è un colore da femmine e che rimanda perciò ad una certa mancanza di autorevolezza? Su cosa è fondata questa credenza comune?
Un colore da femmine: colori per maschi e femmine
A differenza di quanto siamo portatə a pensare oggi, il rosa non è sempre stato un colore da femmine, così come il blu non è sempre stato un colore da maschi.
Come spiega l’autrice statunitense Jo Paoletti nel suo libro Pink and Blue: Telling the Boys from the Girls in America (2012), entrambi i colori vengono utilizzati indistintamente per abiti e accessori di bambine e bambini fino alla metà degli anni Cinquanta del Novecento, sia in Europa che negli Stati Uniti.
Ciò non significa che non esistessero preferenze. Un articolo del 1890 della rivista statunitense Ladies’ Home Journal indica chiaramente che il rosa è il colore più adatto ai maschi, mentre l’azzurro alle femmine. La predilezione di quest’ultimo colore per agli abiti di bambine e ragazze ha una matrice religiosa. L’azzurro, infatti, è associato alla Vergine Maria, e rimanda perciò alle qualità considerate femminili della purezza, dell’innocenza e della grazia. Al contrario — come suggerisce un articolo del 1918 della rivista Earnshaw’s Infants’ Department — il rosa risulta preferibile per uomini e bambini perché simile al rosso, simbolo di energia, forza e virilità.
Mascolinità fragile: venti di cambiamento
La situazione inizia lentamente a cambiare negli anni Trenta e Quaranta del Novecento. In questo periodo, infatti, gli uomini cominciano a vestire con colori sempre più scuri, associati al mondo degli affari. Nella Germania Nazista, nel frattempo, i detenuti dei campi di concentramento accusati di omosessualità — accusati cioè di essere “maschi effeminati” — sono costretti a indossare come simbolo di riconoscimento un triangolo rosa.
La trasformazione del codice dei colori travolge il mondo occidentale tra gli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso. Nel pieno del boom economico, le industrie di abiti per bambinə scelgono di distinguere la propria produzione a seconda del sesso deə neonatə per aumentare i propri profitti. Assegnando il blu ai bambini e il rosa alle bambine, le famiglie con figlə di sesso diverso sarebbero state costrette a comprare nuovi abiti invece che riutilizzare quelli deə figlə maggiori.
A partire da questo periodo, il rosa è diventato il colore predominante nella vita di donne e bambine, non solo per quanto riguarda il vestiario, ma anche per quanto riguarda giocattoli, arredamento e accessori.
Ma — conclude Jo Paoletti — la scelta di assegnare il blu ai maschi e il rosa alle femmine è stata del tutto arbitraria, e le cose sarebbero potute andare diversamente.
Quando la mascolinità si rivela fragile
Perché quindi la fornitura di mascherine FFP2 rosa ha sconvolto in tal modo il Sindacato Autonomo di Polizia?
La risposta non risiede tanto nella supposta eccentricità del colore, quanto nella paura degli uomini cisgender di essere associati anche solo lontanamente al mondo femminile.
Come afferma ə professorə J. Halberstam nel suo libro Female Masculinity (1998), la mascolinità — intesa come l’insieme di attributi, comportamenti e ruoli generalmente associati agli uomini — è stata costruita socialmente come qualcosa che deve essere protetto e difeso dagli attacchi esterni.
Gli standard di mascolinità variano a seconda delle diverse culture e periodi storici. Nella società occidentale, la essa include caratteristiche come la forza, il coraggio, e l’autorevolezza. Qualunque atteggiamento si distacchi da tali connotati minaccia dunque la capacità degli uomini cisgender di essere considerati “veri uomini“.
Questa costante ansia di risultare effemminati o deboli agli occhi deə altrə ha un nome: mascolinità fragile. E ha anche delle conseguenze psicologiche devastanti per tuttə coloro che non si rispecchiano appieno negli standard di mascolinità e femminilità.
Al di là di come si sono formate le convenzioni sociali, credo che il problema stia nel fatto che è la figura istituzionale in oggetto che si vuole richiamare ad una mascolinità autoritaria. E’ qui che sta il problema, secondo me: l’autorità non ha bisogno di essere “maschia” per essere rispettata. Se sceglie di ottenere il rispetto attraverso il timore così facendo trattiene in sé stessa una dose di predisposizione alla violenza ed alla sopraffazione che necessariamente deve essere legata alla brutalità mschile, ma così rinuncia alla vera funzione dell’autorità, che è quella di “reminder” delle regole sociali scelte e condivise. E, nel momento in cui l’autorità rinuncia a comunicarsi come l’arbitro del rispetto delle regole sociali ma assume la funzione di colei che impone sotto minaccia, allora necessità di uno strumento per tale sopraffazione.