In questo paese la libertà di scelta delle donne è solamente un mito.
Ce lo ricorda ancora una volta la vicenda avvenuta negli ultimi giorni a Milano, dove un neonato di nome Enea è stato affidato alla Culla per la Vita della clinica Mangiagalli — una struttura in cui i genitori possono lasciare ə neonatə in completo anonimato e in assoluta sicurezza.
In barba all’anonimato, la decisione della donna di affidare il bambino alle cure deə medicə (affidare, e non abbandonare) ha fatto rapidamente il giro d’Italia, portando personaggi pubblici e non a intervenire online su una faccenda che non li riguarda nemmeno per sbaglio.
Libertà di scelta: questa sconosciuta
La Culla per la Vita della clinica Mangiagalli è attiva da sedici anni. Fondata nel 2007, si trova in un angolo appartato vicino ad un ingresso secondario dell’ospedale. Aprendo una piccola saracinesca è possibile lasciare lə neonatə in una culla protetta e riscaldata, e allontanarsi senza essere vistə. Circa quaranta secondi dopo, un allarme discreto avvisa medicə e infermierə della Neonatologia, che intervengono nel giro di qualche minuto.
Affidare Enea alla Culla per la Vita è stata una scelta evidentemente ponderata, come dimostra anche la decisione della donna di scrivere una lettera indicando il nome del bambino e il suo stato di salute.
Il problema è che nessuno sta rispettando questa scelta.
La ricerca spasmodica dell’identità della donna, le offerte in denaro, gli appelli ai ripensamenti, le congetture su cosa può averla portata ad agire in questo modo dimostrano che al grande pubblico ciò che importa davvero non è il benessere del bambino — è la maternità forzata.
Se davvero l’Italia si curasse del futuro di Enea, se volesse per lui una vita serena e piena d’affetto, rispetterebbe la scelta di questa donna e non cercherebbe a tutti i costi di imporle qualcosa che non può — o che forse nemmeno vuole — fare.
Sempre e comunque un errore
Questi ultimi giorni ci ricordano che una donna incinta che non desidera diventare madre non ha scelta.
Se porta a termine la gravidanza e affida in anonimato lə neonatə a chi potrà occuparsene, è spronata a ripensarci e ad accettare una maternità non voluta. Se non porta a termine la gravidanza è un’assassina, che poteva “semplicemente” dare lə bambinə in affido.
Qualsiasi scelta lei faccia sarà sempre e comunque un errore agli occhi di chi non vede oltre al binomio donna-madre.
In tutto questo, la figura paterna — naturalmente — non è pervenuta. Perché si sa, ə figlə non si fanno mica in due.