In che modo si può conciliare la comunità queer con un contesto, come quello carcerario, improntato su un rigido binarismo eteronormato e machista?
Risulta necessario fare una premessa, con lo scopo di fornire una definizione più specifica del contesto carcerario. Nonostante le ultime modifiche normative il carcere si presenta come un’istituzione totale, ovvero come un luogo nel quale l’utilizzo della violenza viene spesso giustificato, a scapito dei diritti e le libertà dei singoli, con l’obiettivo di mantenere ordine e sicurezza generali.
Definizione del contesto carcerario italiano
In questo contesto spesso soffocante per i detenuti non trovano spazio problematiche legate all’orientamento sessuale e all’identità di genere. Ciò è desumibile dalla scarsa presenza normativa. Difatti, gli unici interventi concernenti la comunità queer sono quelli in tema di: gestione degli spazi carcerari e trattamenti ormonali, per le recluse transgender.
Per quanto riguarda, la gestione degli spazi, pur essendo concepita per tutelare l’incolumità dei detenuti, evitando aggressioni da parte degli altri reclusi, finisce per essere in contrasto con la finalità principali della pena, ossia: l’aspetto rieducativo e risocializzante (art.27 Cost.), perché i detenuti in concreto vengono posti in sezioni separate e/o miste (nel caso delle trans), risultando conseguentemente ghettizzati ed impossibilitati a svolgere, le già carenti, attività trattamentali.
Violenza di genere nelle carceri per orientamento sessuale e identità di genere
Bisogna ricordare che il termine queer ha valore omnicomprensivo, poiché volto ad includere soggetti che presentano caratteri diversi per identità di genere ed orientamento sessuale. L’approccio adottato dall’amministrazione penitenziaria in generale è improntato generalmente sullo svilimento e l’umiliazione. In questo senso un esempio rilevante può essere il trattamento riservato alle recluse trans. Non a caso il termine si declina al femminile, perché si tratta di recluse che affrontano un percorso di transizione Male to Female.
Tali soggetti subiscono violenza sia verbale che fisica. A livello verbale questa si esplica nel : misconoscimento dell’espressione di genere e nello scherno, che si manifesta tramite l’uso di appellativi oltraggiosi, verso le detenute nel momento, in cui riescono a procurarsi gli oggetti (trucchi, vestiti) necessari per rappresentarsi come donne. A livello fisico, invece, sono molti i casi di violenza sessuale.
Carceri e persone queer: il caso di Ivrea del 2018
Per avere un’idea più chiara della situazione che vivono le detenute, basti pensare al caso del carcere di Ivrea del 2018. In quel contesto alcune detenute hanno denunciato due agenti di custodia, perché questi avevano preteso da loro del sesso orale, abusando della propria posizione e promettendo in cambio spostamenti di sezione.
Il caso ha avuto risonanza perché, una delle detenute è riuscita a raccogliere il liquido seminale di uno degli agenti, con lo scopo di usarlo come prova, per denunciarlo al direttore dell’istituto penitenziario. Tale caso ha ottenuto l’archiviazione da parte del gip, perché lo stesso ha considerato tali rapporti come consenzienti.
Carceri: il problema con il sesso
Come vivono i reclusi il rapporto con il sesso? In un contesto come quello carcerario, dove ogni aspetto è rigidamente controllato risulta difficile persino la pratica dell’autoerotismo. Questa attività ha risvolti diversi per gli uomini e per le donne. Gli uomini vivono in maniera patologica la privazione del sesso, sviluppando anche delle malattie.
Alcuni utilizzano per la masturbazione persino tatuaggi di altri detenuti, che ritraggono figure a carattere sessuale. Mentre, altri temendo che l’astinenza sessuale possa incidere sulla loro virilità, sentono il bisogno di riaffermarla tramite un omosessualità autoimposta. Le donne vivono in maniera meno ansiosa il rapporto con il sesso. Ciò che lamentano e ricercano generalmente sono rapporti di carattere familiare, che tendono a riprodurre anche in ambito carcerario.
Invisibilizzazione delle persone queer nelle carceri
Questa premessa serve a mostrare come i diritti e i bisogni dei soggetti allineati ad un contesto eteronormato vengono invisibilizzati. La legislazione italiana, differentemente da altri paesi europei, non si è mobilitata per fornire degli spazi ai detenuti per poter esercitare il diritto alla sessualità, inteso sia a livello affettivo, che sessuale. In un contesto del genere i diritti dei soggetti queer diventano un vero e proprio stigma.
Molti detenuti, soprattutto maschi, nel timore di ricevere un trattamento diverso, che può consistere nel collocamento in sezioni ad hoc, oppure in forme più o meno gravi di scherno o di violenza, non rendono noto all’ingresso in carcere il loro orientamento sessuale.
Carceri e maschile tossico
Cosa si può fare per intervenire in concreto su tale situazione?
L’ambiente carcerario riflette in maniera esasperata il contesto sociale extramurario. Ciò significa che un cambiamento può avvenire solo con la decostruzione degli stereotipi legati al machismo di stampo eteronormato e di maschile tossico.
Persone queer e carceri: conclusioni
Il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (DAP) ha fatto dei piccoli passi avanti in questa direzione, tramite l’organizzazione di percorsi di formazione, fruibili in modalità sincrona e asincrona e la creazione di piattaforme online (es. quella PA.RI), ricche di contenuti sia di carattere teoretico, sia di carattere pragmatico, volti ad indicare le corrette condotte da adottare.
Persiste purtroppo, nella stragrande maggioranza dei casi ancora un atteggiamento oppositivo rispetto all’acquisizione di competenze, come le soft skills, prive di carattere specificatamente pragmatico. In conclusione si auspica, per ottenere un vero cambiamento, un intervento che non sia solo di facciata da parte della legislazione italiana