“Non è polvere da sparo” è il primo romanzo di Francesco Annarumma. Di cosa parla? A primo impatto questo protagonista senza nome ci sembra felice. D’altronde è bello, di successo, pieno di amici e molto creativo.
Vive da solo ed esce tutte le sere con un ragazzo diverso. Cosa potrebbe desiderare di più? Purtroppo ha un tarlo dentro, che rode la sua coscienza e si esprime in un turbamento profondo e nel conseguente tentativo di anestetizzarlo, tramite l’abuso di droga e alcool.
Trama: è una storia stereotipata?
Un incontro causale in metro con un suo vecchio amico del liceo, Filippo, lo porta a fare i conti con il passato, con le colpe e con i rimpianti. Filippo è lo spettro di sé stesso. Ha perso tutto, non ha più voglia di combattere e annega il suo dolore nell’abuso di droga.
Il protagonista decide di prendersene cura finché riesce, con l’obiettivo di provare a riscattarsi e a guarire, ma solo alla fine, di fronte l’ennesimo finale tragico capirà la necessità di affrontare le sue fragilità, non in solitudine, ma tramite il coinvolgimento del suo nucleo familiare e amicale. Annarumma non cade mai nella pornografia del dolore, né nell’abuso di stereotipi di genere e ci regala un racconto vero e vibrante.
Cosa si intende per rappresentazione stereotipata?
Spesso e volentieri la rappresentazione di caratteristiche legate all’orientamento sessuale e all’identità di genere procede per stereotipi, abusando talvolta della vittimizzazione di aspetti singoli legati alle vite dei soggetti. In ambito letterario abbiamo moltissimi esempi. Basti pensare alle opere di James Baldwin, come “La stanza di la stanza di Giovanni”.
All’interno di questo libro ci troviamo di fronte ad un protagonista, che arriva a rifiutare l’uomo che ama, portandolo alla pazzia, pur di evitare di guardarsi dentro e conoscersi. Si tratta sicuramente di una rappresentazione che è necessario decontestualizzare, calandola nell’America degli anni 50. Tuttavia c’è da chiedersi perché nella società eteronormata attecchiscano principalmente rappresentazioni che vedono un orientamento sessuale diverso come una colpa da espiare con grande sofferenza.
Perché questo libro dà una rappresentazione dell’omosessualità, che supera la stereotipizzazione?
Annarumma in questo romanzo ci mostra una normalizzazione di caratteristiche spesso stereotipate. Il fulcro della storia per l’autore non è l’orientamento sessuale del protagonista. Infatti questo non ci viene mai presentato come il punto d’arrivo di un processo violento e doloroso. Il protagonista vive situazioni traumatiche legate ad eventi irrisolti del suo passato e al suo senso di colpa.
Nei prodotti di intrattenimento, come film o libri generalmente è l’orientamento sessuale il fulcro della storia di personaggi LGBTQAI+. Questo perché nella visione eteronormata della società si sfrutta un’ empatia di facciata per riconoscere l’esistenza di tali soggetti. Come si manifesta tale empatia? Nella morbosa attenzione verso i percorsi personali, nei quali la diversità non viene problematizzata in termini di pregiudizio sociale, ma viene presentata come una dolorosa differenza, più precisamente come una colpa da scontare perché ci si è allontanati da ciò che viene percepito come normalità.
Oltre gli stereotipi. Cosa ci lascia il romanzo e perché leggerlo?
L’autore presenta il ritratto di una generazione, a metà tra Millenians e Gen Z, in cui è la solitudine a farla da padrone. Non si è in grado di comunicare, non ci si fida di nessuno. Ci si aggrappa alle illusioni. Il nostro protagonista si aggrappa con le unghie e con i denti all’idea di amore per non dover affrontare il suo senso di colpa.
Successivamente cambia rotta prova a salvare il suo amico, Filippo, perché l’idea di salvare qualcuno ci fa sentire come se effettivamente avessimo il controllo su noi stessi. Tuttavia, nonostante le paure non ci si può salvare da soli. Abbiamo bisogno degli affetti per sopravvivere. Perché leggerlo? Perché è il ritratto più onesto e lucido che si potrebbe mai avere di due generazioni diverse.