Attributi sessuali simboli di potere
Da secoli esprimiamo concetti affidandoci a metafore più o meno fantasiose sugli organi sessuali. In particolar modo, la società sembra aver interiorizzato l’idea che i testicoli e il pene siano maestosi simboli di potere, mascolinità e fertilità. Come dimostra l’uso comune di espressioni del tipo “Un uomo con le palle”, o la dispreggiante “Sei un senza palle!”.
Invece, la vagina, oltre alla fertilità, viene purtroppo accostata alla debolezza e alla fragilità. Soprattutto quando fa da soggetto ad una metafora di uso comune. Basta pensare al classico “Cos’hai la vagina lì sotto?”, mentre nessuno ha mai detto “Tira fuori la vagina e fagli vedere chi sei!”.
Insomma, se c’è da alludere al coraggio, alla forza fisica, all’audacia, ecco che nell’immaginario comune si pensa subito al molliccio sacchetto scrotale. Non si sa esattamente quale sia il motivo, visto che da un punto di vista biologico l’unico contributo alla vita del pene è eiaculare, e si da il caso che non sia una fatica di Ercole, anzi. È necessario tornare molto indietro nel tempo per comprendere le origini del simbolismo fallico.
Nell’antica Roma il successo era determinato dalle dimensioni
Per i Greci ed i Romani, per esempio, erano gli attributi, in particolare la forma e la dimensione del membro, ad essere determinanti per la realizzazione sociale degli uomini. Un individuo dotato poteva contare su una sicura ed agevolata carriera militare.
Uno meno dotato doveva dimostrare doppiamente il suo valore, a volte venendo sottovalutato nonostante la reale prestanza fisica o intellettiva. A Roma che ha poi origine il pene-portafortuna: si chiamava “Fascinum” ed era un amuleto fallico contro il malocchio, solitamente appeso al polso come braccialetto. Un’usanza all’origine del “toccarsi” come gesto scaramantico.
Con il cattolicesimo lo status del fallo mutò divenendo demoniaco, e non mancano epiteti curiosi e divertenti, come questo di Anselmo d’Aosta:
“Il pene è la verga del diavolo”.
“Nessun organo”, diceva sant’Agostino, “è più corrotto del pene”.
Tertulliano si è spinto arrivando ad affermare che:
“Durante l’orgasmo l’uomo perde una parte dell’anima”
Un’antica e sicuramente affascinante descrizione dell’energia umana, ma connotata da un’ammonizione morale. Il culmine si raggiunse con Papa Pio IV, che fece tristemente coprire gli attributi maschili, sia a eletti che dannati, nella Cappella Sistina di Michelangelo.
Non potendolo quindi più menzionarlo in quanto peccato, l’attenzione venne spostata dal fallo al, finora trascurato, scroto, con la nascita di espressioni che si sono via via evolute fino ai moderni: “Hai due palle così” oppure “Non hai le palle di farlo”.
Simboli di potere: parliamo di skill
Pensando a quanto detto sopra viene in effetti da domandarsi come facciano però ad essere i testicoli considerati simboli di potere. Passi il pene, ma le palle? Pensateci, li appese come due caciotte, deboli e vulnerabili, con quattro peli in croce…
Pensiamo un attimo alla vagina invece, a come sia pensata per generare, allevare e infine partorire esseri umani (testa compresa, ed è qui che deve andare tutto il rispetto alle donne. Ne avremmo probabilmente meno se per esempio le donne partorissero solo il corpo e gli uomini la testa e poi venissero uniti i pezzi in seguito.
Ma no, a quanto pare il 92% dei bambini nasce con la testa già attaccata, e non c’è rimedio alcuno contro questa ingiustizia biologica). Generare la vita rimane indiscutibilmente un grandissimo potere, se paragonato a quello che è invece l’abilità del pene ossia un breve, e infinitamente meno godurioso, spruzzo di liquido seminale.
Ora, a parte l’aspetto ludico (gli orgasmi infiniti), la vagina è qualcosa di biologicamente molto avanzato e complesso, tanto che comprendere come si possa giungere ad un bambino, partendo da due semplici cellule, è stato uno dei più impegnativi misteri della medicina. E nel mondo animale in generale, la vagina è spesso un organo molto complicato, assai più del pene (anche se non mancano eccezioni; per i più temerari: andate su Google a cercare “pene echidna”).
Se avete voglia di vederne una veramente complicata, cercate su Google la vagina del delfino.
Dobbiamo per forza discriminare, anche metaforicamente?
Tornando ai simboli di potere, di sicuro avrete sentito almeno una volta nella vita qualcuno dire in un film “tira fuori le palle” oppure “Vai a ca**o duro” e probabilmente è anche successo in una situazione di pericolo.
Ora, qualunque persona sana di mente, in un momento difficile, l’ultima cosa che vorrebbe fare è esporre i suoi morbidi e indifesi testicoli, o un pene che, per quanto eretto, non farebbe di certo da scudo ai proiettili. Non che esporre una vagina sarebbe meglio, o peggio, semplicemente non è questo l’utilizzo da fare né dell’uno né dell’altra.
Così come non rientra in nessuna logica il dire “Non fare la femminuccia” ai bambini per educarli alla sopportazione della vita (o della bua che si sono appena fatti). O ancora l’insinuare, sfottendo, che un uomo un po’ più sensibile abbia la vagina e non un bel virile pene. Insomma, per esprimere ciò che realmente pensiamo in queste situazioni, abbiamo realmente bisogno di ricorrere agli organi sessuali? E se proprio dobbiamo farlo, possiamo essere un po’ meno discriminatori?
Può sembrare banale parlare di questo, ma è dalle piccole cose che si inizia a cambiare il mondo. Le nuove generazioni non hanno bisogno di crescere con l’idea che il proprio valore, la propria prestanza o il proprio successo possano in qualche modo dipendere da ciò che si sono casualmente trovati in mezzo alle gambe.