In questo articolo tratteremo un argomento molto difficile: il femminicidio. Difficile perché se ne sta parlando tantissimo in questi giorni, ma invece di venire a instaurarsi un dialogo, sono venute a crearsi due fazioni in lotta tra loro: gli uomini contro le donne. Quello che faremo adesso sarà trattare l’argomento con molta calma, perché vogliamo comunicare anche con i più scettici. Non vi faremo uno spiegone sulla società patriarcale; desideriamo solo farvi riflettere su certi atteggiamenti, comportamenti, pensieri e opinioni che in realtà esprimono una misoginia interiorizzata e, quindi, inconsapevole.
#NotAllMen: non tutti gli uomini uccidono
Vi invitiamo a riflettere sul fatto che non c’è assolutamente nulla di eroico nel trincerarvi dietro allo slogan #NotAllMen (o “non tutti gli uomini uccidono”). È vero che non tutti gli uomini commettono un femminicidio o uno stupro, ma chi difende o giustifica i colpevoli è complice. Parlare di delitti commessi da donne o di sofferenza maschile quando si parla di femminicidio è assolutamente fuori luogo: è benaltrismo. Ovviamente si può parlare di queste tematiche, ma in altri contesti. Affermare sui social “io non lo farei mai” sotto a un post che tratta il tema del femminicidio non è minimamente di aiuto o di consolazione.
Il femminicidio non è il semplice omicidio di una donna. Il femminicida uccide la donna proprio perché è una donna, facendo valere con la violenza il proprio diritto di possesso su di lei. Questa parola è nata perché le statistiche parlano chiaro: sono molti di più gli uomini che uccidono le donne per questi motivi che il contrario. È un delitto che deve essere distinto dal generico omicidio perché ha specifiche motivazioni e modus operandi.
Dire “io non lo farei mai” e “non siamo tutti così” significa ignorare il problema, lavarsene le mani. Ciò non aiuta a fare chiarezza su questa gravissima tematica e dimostra una grave mancanza di empatia nei confronti delle donne (oltre che una misoginia interiorizzata). È avere la coda di paglia, è espressione narcisistica del proprio ego ‘ferito’ davanti a un orrore; chi dice così, è perché in realtà non gliene frega niente del fatto che i femminicidi in Italia sono sempre più in aumento.
Il femminicidio è una responsabilità di tuttə (non una colpa!)
Una società dovrebbe essere costituita da cittadinə responsabili in grado di stabilire relazioni sane tra loro e di prendersi la responsabilità delle proprie azioni. Ma se all’interno di una società c’è un clima di tolleranza nei confronti di alcune forme di violenza, è probabile che esse continueranno non solo a essere perpetrate, ma che addirittura aumenteranno. Giustificare o minimizzare la gravità di un reato incoraggia la violenza stessa e per questo motivo ne siamo tuttə responsabili.
Per lottare contro la misoginia è però fondamentale saperla riconoscere e non è sempre facile. Dobbiamo immaginare la violenza di genere come una piramide alla cui punta si colloca il femminicidio come forma più esplicita di violenza e misoginia. Esistono infatti due forme di violenza: quella visibile e quella invisibile.
La violenza visibile si trova nei gradini superiori della piramide perché è facilmente riconoscibile. Man mano che si sale nella piramide, la gravità aumenta e la frequenza diminuisce. Sono violenza visibile gli insulti, le aggressioni verbali, le minacce, le aggressioni fisiche, lo stupro e il femminicidio.
La violenza invisibile occupa i gradini inferiori della piramide perché è implicita e la si riconosce con difficoltà. Man mano che si scende nella piramide, la gravità diminuisce e la frequenza aumenta. Nei gradini più bassi della piramide troviamo atteggiamenti che per i più sono assolutamente normali perché radicati nella cultura stessa della società (convinzioni tradizionali, modi di pensare, abitudini e credenze); per questo motivo sono più difficili da individuare e riconoscere. Sono violenza invisibile le umiliazioni, il disprezzo, le manipolazioni, le colpevolizzazioni, le battute sessiste, l’invisibilizzazione, il linguaggio sessista.
“Attente al lupo”: ma che lupo?
Il femminicidio di Giulia Cecchettin ci scuote tanto perché il suo assassino, Filippo Turetta, non ha il profilo di uno psicopatico, di un mostro, bensì di un ragazzo comunissimo: un “bravo ragazzo”. Noi scommettiamo anche che la frase “io non lo farei mai” l’abbia pronunciata anche lui davanti agli altri femminicidi.
Ci fa rabbia che nonostante abbiamo la prima presidente donna, il Paese è più misogino di quanto lo sia mai stato. Incolpare la società di aver generato un uomo come Filippo Turetta non è – come è stato detto – giustificare il carnefice. Significa invece incolpare il colpevole e dare anche alla società la responsabilità dell’accaduto. Che tutele e giustizia possono aspettarsi le donne da una società misogina? Da una politica che non crede nella violenza di genere e non approva l’aggravante per femminicidio, da legali che cercano attenuanti per ridurre la pena all’assassino (“la amava, le faceva i biscotti”), dalle forze dell’ordine che intervengono solo se la violenza è stata consumata, da un’opinione pubblica che difende gli istinti ‘animali’ del carnefice e dà la colpa del reato alla vittima?
Noi ci rifiutiamo di chiamare “lupo” uno stupratore o un femminicida per rispetto nei confronti dell’animale. Il lupo è un predatore che ha il suo ruolo nell’ecosistema; stupratori e assassini no. E poi basta dire di educare le bambine, quando invece sono i bambini che devono essere educati a rispettare le donne. Nelle scuole andrebbero ideati corsi di educazione affettiva in grado di arrivare davvero ai ragazzi. Che educazione e rispetto ha chi ha creato il gruppo Facebook “Le bimbe di Filippo Turetta”? Eppure avranno sicuramente fatto un corso sul femminicidio a scuola. Ciò dimostra che la scuola da sola non può farsi carico di questo tipo di educazione, ma è fondamentale la collaborazione delle famiglie e della società tutta. Ci vuole un cambiamento!
Cosa chiediamo agli uomini
Detto questo, non si può incolpare l’intero genere maschile come fosse nato col peccato originale. Questa non deve trasformarsi in una lotta tra uomini e donne. Ciò che chiediamo agli uomini è collaborazione. Chiediamo agli uomini di interessarsi alla causa perché il femminicidio riguarda tuttə: la prossima potrebbe essere vostra figlia, sorella, madre, amica e qualsiasi altra donna della vostra vita. Non fatevi gli affari vostri quando vedete una donna in difficoltà con un uomo, perché i soccorsi non arriveranno mai in tempo. Vi chiediamo di lottare con noi quando la politica continua a rifiutarsi di riconoscere per legge l’aggravante per femminicidio, quando i magistrati trovano attenuanti per ridurre la pena ai colpevoli, quando l’opinione pubblica incolpa la vittima del delitto o fa del carnefice una vittima. Lottiamo insieme per una società equa e giusta per tuttə!
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Brava sono d’accordo con te.