“Checca isterica”: significato e definizione
Checca. Dal vezzeggiativo del nome “Francesca”, il termine ha finito per assumere un significato ambiguo, destinato a designare un uomo molto effeminato. Deve la sua nascita alla tendenza diffusa tra i diversi gruppi di uomini omosessuali degli anni ’80 di usare nomi femminili per rivolgersi gli uni agli altri. Il termine ha poi stimolato la fantasia dei più creativi, dando vita a degli abbinamenti così variegati e originali da adattarsi, come il giusto accessorio, alla persona da insultare: checca isterica, vecchia checca, checca sfranta e così via.
Tra questi spicca senza dubbio l’epiteto “checca isterica“. Trovo già significativa la scelta di usare il femminile nel tentativo di sminuire e minacciare l’identità sessuale di un uomo, solo per via del suo orientamento. Ma quello che trovo ancora più curioso è che al termine venga accostato un aggettivo, appunto “isterica”, che cela, in realtà, un altro attacco all’universo femminile, dipingendolo come irrazionale e incontrollabile. Per approfondire e spiegare questa scelta ben precisa, occorre fare qualche passo indietro nel tempo.
“Checca isterica”: storia dell’isteria e stigma culturale
Isterica. Quando una donna è nervosa, arrabbiata o, più semplicemente, manifesta la sua disapprovazione con un certo grado di convinzione, è consapevole che prima o poi si sentirà dire automaticamente “è isterica, c’avrà le sue cose!”. Il termine “isteria” deriva in effetti dal greco hysteron, che significa “utero”, individuato da Ippocrate come l’origine del disturbo che affligge le donne, nonché un motore che, se non sufficientemente “oliato”, provocherebbe un senso di soffocamento e di confusione mentale.
Ignaro della strumentalizzazione che avrebbe scatenato, questa scoperta porta, nei secoli successivi, ad attribuire all’isteria diverse interpretazioni, tutte riconducibili in ogni caso alla donna. Dapprima considerata come una condizione ginecologica, verso la fine del Medioevo diviene simbolo di stregoneria, per poi consolidarsi, a seguito dell’avvento della psicanalisi, nella classificazione di disturbo psichico. Occorrerà aspettare solo il 1980 perché la nevrosi isterica venga eliminata dai manuali scientifici, insieme al suo riferimento a un unico genere (quello femminile ovviamente).
Ciononostante, tutti gli studi, le diagnosi e le credenze del passato hanno lasciato oggi in eredità la concezione secondo cui le donne sono guidate dal loro organo sessuale per operare qualsiasi tipo di scelta, dall’ambito sociale a quello economico e politico. La donna è istintiva, travolta dalle sue stesse emozioni e, dunque, instabile e inadatta a esaminare in maniera equilibrata e obiettiva le situazioni che la circondano. In un’unica parola: isterica. L’isteria finisce così per rappresentare un ottimo strumento per legittimare l’idea della superiorità dell’uomo sul piano fisico, morale e intellettuale, non soltanto rispetto alla donna, ma anche rispetto a chiunque sia dotato di un briciolo di sensibilità in più, che poco si addice all’immagine comune di uomo forte e razionale: il classico macho.
“Checca isterica”: l’insulto matrioska
La prima grande conquista è capire innanzitutto che tanto le emozioni, quanto l’intensità con cui vengono manifestate, prescindono dal genere o dall’identità di genere: un uomo può, anzi, DEVE avere il diritto di esprimere ciò che sente, anche in maniera scomposta. In fondo, la sensibilità è umana, non è donna.
Alla luce di tutto ciò, l’espressione “checca isterica“, ampiamente diffusa ancora oggi in maniera anche inconsapevole, diventa una specie di insulto matrioska: all’esterno, c’è il tentativo ridicolo, ormai démodé, di sminuire un uomo omosessuale paragonandolo a una donna. All’interno, c’è appunto l’idea di servirsi della donna come termine di paragone subalterno, per di più in preda a un incontrollabile scatto d’ira.
“Checca isterica”: omofobia interiorizzata
Solitamente, le persone che vengono chiamate a riflettere sulla duplice natura denigratoria del termine, controbattono affermando che i primi a ricorrere a questo insulto sono proprio gli stessi omosessuali. Quasi come se volessero discolparsi e sentirsi autorizzate all’uso.
Non posso nascondere che anche all’interno del mondo LGBTQIA+ ci sono uomini omosessuali che amano ergersi a esempio di “Maschio gay“, sottolineando la loro appartenenza più alla prima che alla seconda categoria. Forse nutrono intimamente la speranza di avvicinarsi il più possibile alla concezione socialmente più accettabile di “uomo” e ottenere, così, l’approvazione da parte degli uomini etero cis, possibilmente bianchi. Utilizzano, quindi, l’espressione “checca“, semplice o composta, nei confronti di chi, pur appartenendo alla stessa comunità, si colloca, secondo loro, su un gradino inferiore della scala gerarchica della stessa omosessualità, sia per i modi apparentemente meno maschili sia per la preferenza di ruolo nel sesso.
“Checca isterica”: non si può dire più nulla!
A tuttə rispondo che l’invito a non utilizzare questo epiteto è, in realtà, rivolto a chiunque, e che, in ogni caso, esiste sempre un dove, un quando e un come dire le cose. Dato che non è sempre facile distinguere i contesti in cui è opportuno o meno fare determinate affermazioni, io proporrei di fare uno sforzo comune e contribuire tuttə quantə alla totale estinzione di questa espressione, insieme a tante altre che andrebbero depennate dalla raccolta lessicografica a cui troppo spesso attingiamo.
Chissà, forse un giorno sentiremo pronunciare la parola “Checca” solo per rivolgersi a un’amica di nome Francesca, la quale, a sua volta, non dovrà più preoccuparsi di essere dipinta come una persona in preda a una crisi isterica, solo in quanto donna.