Revenge porn: cos’è e come difendersi

Il termine “revenge porn” è entrato a far parte del linguaggio comune soprattutto per via di casi di cronaca come quello di Tiziana Cantone. Significa letteralmente “pornografia di vendetta”: consiste nella diffusione non consensuale di immagini intime di una persona da parte di un partner o ex-partner, per risentimento e ripicca.

Tecnicamente, non c’è un limite prefissato di genere e di orientamento sessuale in questa pratica. È innegabile, però, che i casi più eclatanti abbiano donne per vittime. “Quando calunniamo una donna, diciamo che qualcuno le è giaciuto sopra” dice Otello, nell’omonima tragedia shakespeariana (Atto IV, scena I), con un gioco di parole intraducibile dall’inglese. Erano gli inizi del Seicento e questo tipo di diffamazione non ci stupisce.

Ma il giudizio sociale sulla vera o presunta libertà sessuale femminile rimane tuttora molto più negativo, rispetto a quanto avviene per quella maschile. Le “imprese fra le lenzuola” di un uomo possono suscitare simpatia, ammirazione e persino rispetto. Raramente ciò avviene per una donna “brava a letto”, se non in termini di appetibilità come oggetto sessuale.

Il revenge porn è reato, oltre a mostrare la meschinità di chi se ne serve per colpire qualcuno. Tuttavia, è più probabile che renda l’esistenza difficile alla vittima, anziché all’autore, proprio per il motivo culturale che abbiamo visto.

il revenge porn

Revenge porn: l’impatto emotivo sulle vittime

Nel caso di Tiziana Cantone, l’impatto emotivo del revenge porn è stato devastante, fino alle estreme conseguenze.

Siti divulgativi come Angolopsicologia.com evidenziano l’umiliazione, la vergogna e il senso di colpa generati nella persona colpita, che portano anche all’isolamento sociale e alla chiusura in sé. Un articolo scientificamente accurato sulle conseguenze psicologiche del revenge porn si trova sulla Rivista di psichiatria (gennaio-febbraio 2022, vol. 57, n.1): Implicazioni psicologiche del fenomeno del revenge porn: prospettive cliniche, di Valerio Veronica e Dina Di Giacomo. Esso mette in luce come le vittime arrivino a sviluppare problematiche ansiogene, depressive e disturbo da stress post-traumatico. Sono molto simili alle tracce lasciate da una violenza sessuale.

Talvolta, bisogna mettere in conto la perdita del lavoro da parte della persona colpita, per ragioni di “moralità” e “immagine” che possiamo immaginare.

Le vittime di revenge porn fanno anche più fatica ad allacciare nuove relazioni intime, sia per lo stigma che portano, sia perché è stata minata alla base la loro fiducia.

Per contro, l’autore di revenge porn è spesso una persona impulsiva e con scarsi livelli di empatia. La psicologa Jennifer Delgado Suárez, su Angolopsicologia.com, afferma che la personalità di chi commette questo crimine rientra spesso nella “triade oscura”: narcisismo-machiavellismo-psicopatia. Veronica e Di Giacomo aggiungono anche una certa superficialità, soprattutto da parte di chi condivide i materiali classificabili come revenge porn:

“Gli uomini sono maggiormente propensi alla diffusione di immagini non consensuali, principalmente per attrazione, umorismo, scarsa capacità empatica.” (pag. 15).

Si pongono quindi scottanti questioni culturali, alla base delle conseguenze psicologiche di un revenge porn. Innanzitutto, questa pratica dimostra un’insufficiente educazione emotiva rivolta ai bambini e ragazzi maschi circa il rapporto con il corpo femminile. Poi, evidenza il pregiudizio sulle vittime, viste come particolarmente promiscue e amorali.

Ciò contrasta paradossalmente con la diffusione del sexting, la pratica sempre più abituale di inviare per messaggio immagini e testi a sfondo sessuale: chi non l’ha mai fatto, nell’era degli smartphone? Anzi, le quarantene durante la pandemia hanno accresciuto il numero di praticanti.

Anche la pervasività dei social media ha reso “normale” pubblicare momenti privati della propria vita. Tutto questo senza pensare all’imprevedibilità e all’incontrollabilità della diffusione.

episodi di revenge porn

Cosa fare in caso di episodi di pornografia non consensuale

Quando si tratta di revenge porn, la cosa migliore è la prevenzione: evitare di inviare nostre immagini intime, quale che sia il rapporto di fiducia col destinatario. Tuttavia, a volte queste immagini possono venirci distorte con insistenze e atti di manipolazione psicologica, oppure addirittura registrate a nostra insaputa. Una volta online, è quasi impossibile controllarne l’uso e la diffusione.

Se hai ricevuto da terzi immagini private di altri, evita di diffonderle a tua volta. Se le trovi su una pagina o un profilo social, segnalale per la rimozione. Anche i motori di ricerca e le piattaforme online possono ricevere richieste di cancellazione di questi materiali.

Se sei la vittima, la via più efficace da imboccare è quella legale. Premettiamo che “revenge porn” è un termine giornalistico, non giuridico. Come reato, si definisce invece così: “diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti” (Codice penale, art. 612-ter).

Nello stesso testo, si legge che questo crimine viene punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da 5000 a 15 000 €. La stessa pena è destinata a chi riceve i materiali privati, se li diffonde ulteriormente. La pena è aumentata se l’autore di revenge porn è il coniuge (anche separato o divorziato), se si tratta comunque di qualcuno che ha/aveva una relazione affettiva con la vittima e se il mezzo di diffusione usato è informatico/telematico.

Un’aggravante importante è il fatto che la vittima sia “in condizione di inferiorità fisica o psichica” o sia incinta.

Per procedere contro questo reato, bisogna che la vittima sporga querela entro sei mesi. Fatto questo, la querela potrà essere rimessa solo durante il processo, davanti al giudice. Tuttavia, si procede d’ufficio, quando ci sono le aggravanti che abbiamo menzionato e quando la diffusione di immagini intime si accompagna ad altri reati per i quali si procede d’ufficio.

È possibile anche inviare una formale diffida a chi detiene le nostre immagini intime, per prevenire il reato.

Di quello che chiamiamo revenge porn si occupa anche l’art. 144 bis del Codice della privacy. Esso prevede che si possano indirizzare segnalazioni o reclami al Garante, tramite appositi moduli online.

A ogni modo, chiunque può fare qualcosa: segnalare le immagini intime trovate sui social, o avvertire amici e conoscenti della presenza di loro ritratti “insoliti” su Internet. L’importante è intervenire il prima possibile.

Soprattutto, se siamo noi le vittime, è fondamentale capire questo: non abbiamo fatto niente di male. Non siamo noi ad aver commesso un crimine. La colpa è di un soggetto con evidenti tare di personalità, nonché di tanti altri che hanno reputato “bene” sfogare su di noi le proprie frustrazioni sessuali e la propria miopia mentale. Siamo ancora lontani dal giorno in cui a vergognarsi amaramente saranno gli autori di certe ripicche. Ma ci sarà questo giorno.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *