Da tempo non pensiamo allǝ nostrǝ lettorǝ più forti, quellǝ che amano divorare pagine e pagine. Perché non suggerire qualche buona lettura? Oggi, parliamo di libri queer!
Cosa sono i libri queer?
La parola queer non indica una forma o un genere letterario, ma una tematica. È il noto termine ombrello impiegano nella comunità LGBT per indicare qualsiasi orientamento e identità di genere non sia strettamente cis-etero. Letteralmente, significa “strano” e veniva impiegato in senso spregiativo nel XIX secolo per indicare gli omosessuali. Entrò nel campo degli studi sulla sessualità all’inizio degli anni Novanta. In ambito accademico, fu impiegato per la prima volta nel numero speciale della rivista «Differences», a cura di Teresa De Lauretis: Queer Theory. Gay and Lesbian Sexualities (1991, 3). La parola queer serviva a rifiutare l’eterosessualità come termine di paragone per le forme di sessualità, ma anche la rappresentazione degli orientamenti gay e lesbico come un’unica forma di sessualità, per considerarli invece nelle loro differenze. Poneva anche l’accento su come l’appartenenza etnica potesse influenzare le soggettività sessuali. Insomma, rimetteva (e rimette) in discussione la presunta universalità delle categorie identitarie. I “libri queer” sono quelli in cui compaiono personaggi dall’orientamento sessuale e dall’identità di genere “fuori schema”. Vediamone un paio di esempi.
Libri queer: letture consigliate
Il primo titolo che consigliamo è un romanzo poco conosciuto: Vathek di William Beckford (1786). È una storia tenebrosa e fantastica, liberamente ispirata al personaggio storico del califfo al Wathiq ibn Mu’tasim, che regnò dal 842 al 847. Era un patrono delle scienze e delle arti, sostenitore di una corrente teologica islamica razionalista detta Mutazilismo, influenzata dalla filosofia greca. Sua madre Qaratis era bizantina e questo influì probabilmente sulla sua mentalità e sul suo stile di vita. Suo nonno Harun al-Rashid era il califfo reso leggendario dalle Mille e una notte.
Beckford fa di lui un personaggio ricco, superbo e insaziabilmente curioso, forse più simile al suo talentuoso ed eccentrico autore che al suo modello storico. Lo scrittore inglese, infatti, era erede di una notevole fortuna, che impiegò in buona parte per costruire una favolosa dimora in stile gotico a Fonthill, in cui sistemò la sua collezione d’arte, curiosità e libri rari. Questa magione divenne poi il modello per il palazzo di Eblis (l’arcidiavolo islamico) in Vathek.
Uno dei personaggi di questo romanzo ha particolarmente catturato la nostra attenzione. Il califfo s’invaghisce di Nouronihar, la giovanissima figlia di un emiro, che è però già stata promessa in sposa al cugino Gulchenrouz. E com’è quest’ultimo? Così lo descrive Beckford: dotato di grande talento per la letteratura, il canto e la musica, nonché per la danza e per il tiro con l’arco. La sua è una bellezza delicata, che suscita tenerezza. Soprattutto, il ragazzo somiglia molto alla cugina-fidanzata:
“Entrambi avevano gli stessi gusti e gli stessi passatempi; gli stessi lunghi, languidi sguardi; le stesse trecce; le stesse carnagioni chiare; e, quando Gulchenrouz appariva nell’abito di sua cugina, sembrava essere più femminile persino di lei stessa.”
Insomma, è un femboy in piena regola. Nel triangolo amoroso che si va disegnando, viene anche ad assumere il ruolo di “anti-Vathek”, un modello positivo apertamente contrapposto a lui. Disprezzato dal califfo per la sua “debolezza” ed “effeminatezza”, viene però premiato con la beatitudine.
Un altro classico di un autore inglese, stavolta notissimo, è la commedia La dodicesima notte di William Shakespeare (1599-1600). Il titolo si riferisce alla dodicesima notte dopo Natale, data festiva per la quale l’opera fu composta. Esso, quindi, non rimanda ad altro che alla volontà di compiacere un pubblico che vuole divertirsi. E cosa divertiva il pubblico dei tempi di Shakespeare? Amori, inganni, equivoci, tutto quello che si trova in questa commedia. Soprattutto, in essa si verifica l’equivoco più equivoco di tutti: la confusione fra donna e uomo.
Viola, naufragata sulle coste dell’Illiria (sull’Adriatico orientale), ha perso di vista il fratello gemello Sebastiano. Rimasta pressoché sola, si traveste da ragazzo e finge di essere un eunuco, per trovare un impiego al servizio del duca Orsino, il signore locale. Questi la invia a portare i suoi messaggi romantici a Olivia, una bella contessa insensibile all’amore di qualsiasi uomo.
Le ambasciate di Viola sortiscono come unico effetto quello di suscitare in Olivia una forte passione… per il messaggero. A sua volta, però, la ragazza in panni maschili è segretamente innamorata del duca Orsino. Così Viola commenta i sentimenti della dama per lei:
“…povera dama; meglio per lei sarebbe amare un sogno. […] Teneramente l’ama il mio padrone ed io, a un tempo grottescamente uomo e donna, con uguale passione amo lui; ed ella, vittima di un inganno, ama me. […] Speranza alcuna come uomo non ho che il mio padrone mi ami; ma sono donna (ahi, tristo giorno) e quanti disperati e inutili sospiri esalare dovrà la misera Olivia? O tempo, sbroglia tu questa matassa ché troppo stretto è questo nodo, e scioglierlo non posso.” (Atto II, Scena 2; traduzione di Nicoletta Rosati Bizzotto).
La situazione ricorda quella di Bradamante, Ricciardetto e Fiordispina nell’Orlando Furioso di Ariosto e si concluderà con un lieto fine, visto che siamo in una commedia. A colpire è però la concezione dell’amore: i personaggi, a quanto pare, non sono attratti o respinti dal sesso biologico effettivo di Viola, ma da quello che la loro mente attribuisce alla ragazza. Insomma, sia pure nella finzione teatrale e nelle sue convenzioni, l’opera di Shakespeare ci avverte della complessità dei meccanismi dell’attrazione sessuale e delle passioni che ne nascono. Se il corpo è il luogo in cui l’eros si esprime, non è però quello in cui nasce. Per rubare un’altra frase a Shakespeare, esso è fatto della stessa materia di cui sono fatti i sogni e nasce come loro nel punto in cui gli istinti incontrano i recessi più profondi della mente.