Il termine “nazifemminismo“, nato dall’unione di “nazismo” e “femminismo”, viene oggi utilizzato per mettere a tacere le donne e gli attivisti delle minoranze. Ma da dove arriva?
Nazifemminismo: perché è un insulto?
Il termine è nato – come spesso accade – nel mondo anglosassone con il nome di “feminazi”. È stato coniato dal professore universitario Tom Hazlett per descrivere “qualsiasi donna intollerante verso un punto di vista che sfidi il femminismo militante”, ma fu il giornalista conservatore Rush Limbaugh a renderlo popolare all’inizio degli anni ‘90, usandolo ripetutamente nelle suoi programmi radiofonici e nei suoi libri, come ad esempio The Way Things Ought to Be (“Come dovrebbero essere le cose”).
Sebbene Limbaugh abbia successivamente dichiarato che “non tutte le femministe sono nazifemministe”, nel corso della sua carriera mediatica ha fatto ampio uso di questo insulto per attaccare femministə, attivistə pro-choice e donne progressiste. Nel tempo, il termine si è diffuso a livello globale, al punto che oggi sulla Wikipedia la voce “nazifemminismo” è disponibile in 24 lingue… ma non in italiano.
Vi sarà sicuramente capitato di sentire “nazifemminismo” (o “femminazista”) nei talk show televisivi, nei comizi politici o persino nelle riunioni di famiglia. È diventata, appunto, una parola comoda per denigrare e screditare, in un colpo solo, una vasta gamma di movimenti sociali, politici e ideologici che mirano stabilire l’uguaglianza politica, economica, personale e sociale delle persone.
Il modo in cui questo termine viene usato oggi richiama da vicino altre strategie retoriche volte a delegittimare le opinioni senza affrontarle nel merito. Sposta l’attenzione dal contenuto all’attacco personale, criticando i toni o i modi di espressione piuttosto che le idee stesse.
Qual è la differenza tra femminismo e nazifemminismo?
La differenza principale è evidente: una parola si riferisce a uno dei movimenti sociali più importanti dal XIX secolo a oggi, mentre l’altra è un insulto misogino. Arguto, forse, ma pur sempre un insulto.
Tuttavia, è importante non liquidare una parola solo perché si tratta di un insulto. Le parolacce spesso veicolano idee con una forza e una penetrazione che farebbero invidia ai migliori pubblicitari. Il fatto che questo termine abbia preso piede e si sia diffuso con tanta rapidità ci dice molto su altre questioni:
- L’emergere dei movimenti femministi infastidisce, e parecchio.
- Questo fastidio, che in alcuni casi si trasforma in paura, si diffonde trasversalmente in tutti i settori della società.
- Il modo più efficace per screditare le e gli attivistə di questi movimenti è dipingerli come estremistə che non ascoltano la ragione, rendendo così inutile dialogare con loro.
- Ed ecco la soluzione: l’etichetta “nazifemminista”. “Queste nazifemministe sono pazze, a volte persino pericolose. Faremmo meglio a ignorarle e a non ascoltare le loro richieste”.
È anche interessante notare come questa parola riesca a combinare due concetti molto diversi: da un lato il nazismo, una delle eredità più oscure del Novecento, che tra le sue idee promuoveva la soppressione dell’individualità in favore di una causa e di un leader totalizzanti; dall’altro il femminismo, che invece si distingue proprio per la diversità e l’eterogeneità dei movimenti che lo compongono.
È vero, all’interno del variegato mondo femminista esistono rivendicazioni discutibili, atteggiamenti non condivisibili e correnti esclusiviste come le TERF (femministe radicali trans-escludenti) o le SWERF (femministe radicali sex-worker-escludenti), critiche legittime che possono essere mosse al loro operato. Tuttavia, questo non giustifica l’uso di un’etichetta come “nazifemminista” per bollare chiunque presenti argomentazioni o atteggiamenti non conformi all’idea personale di cosa il femminismo dovrebbe essere.
In definitiva, il termine “nazifemminismo” non è altro che un’arma retorica, usata per sminuire e screditare le persone che si identificano come femministe. Dietro questa parola si cela il tentativo di ridurre un dibattito complesso a un insulto facile, evitando il confronto reale con le idee e le istanze che questi movimenti rappresentano.
Per smascherare la potenza delegittimante di termini come questo, sarebbe auspicabile promuovere un dialogo aperto e consapevole che vada oltre gli attacchi personali e che affronti i temi nel merito. Tuttavia, l’esperienza ci insegna che questi tipi di dialogo non sono facili da trovare.