Hai mai sentito parlare di vittimizzazione secondaria? Per molti, è un concetto sconosciuto, ma per chi l’ha vissuto, è una ferita che brucia ancora di più della prima. Immagina di trovarti in una situazione già devastante e di ricevere, invece di comprensione e supporto, critiche, giudizi o silenzi carichi di colpa. Questo è ciò che significa vittimizzazione secondaria: un doppio trauma, inflitto da chi dovrebbe proteggerti o aiutarti.
La vittimizzazione secondaria si verifica quando una vittima, anziché essere accolta e sostenuta, viene ulteriormente ferita da atteggiamenti insensibili, comportamenti inadeguati o dall’indifferenza di istituzioni, familiari e società. Questo fenomeno non riguarda solo chi subisce un crimine, ma anche chi alza la voce contro ingiustizie, discriminazioni o violenze. Invece di trovare giustizia, queste persone trovano un muro di sfiducia e pregiudizi.
Cosa si intende per vittima secondaria?
Essere vittima secondaria significa sopportare un carico emotivo ancora più pesante del trauma iniziale.
Pensaci: hai subito un’ingiustizia, un atto di violenza o un evento devastante, e quando finalmente trovi il coraggio di parlare, ti senti accusato, messo in dubbio o ignorato. È come gridare per chiedere aiuto e ricevere, invece, un’eco che ti colpevolizza.
Ad esempio, immagina di denunciare una violenza subita e di trovarti di fronte a domande che insinuano che, in qualche modo, sia colpa tua. “Come eri vestita? Perché eri lì a quell’ora? Non hai forse esagerato?” Queste frasi, così comuni, scavano nella ferita, trasformando il dolore in disperazione.
Un caso emblematico di vittimizzazione secondaria riguarda una recente sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (Corte di Strasburgo) che ha condannato l’Italia per l’uso di stereotipi sessisti durante un processo per stupro. Le vittime coinvolte non solo hanno dovuto affrontare il trauma della violenza subita, ma anche un sistema giudiziario che ha messo in dubbio la loro credibilità utilizzando pregiudizi di genere. La Corte ha evidenziato come certi atteggiamenti perpetuino l’idea che la vittima sia, in qualche modo, responsabile dell’accaduto, anziché concentrarsi sui colpevoli.
Questo episodio mette in luce quanto sia urgente un cambiamento culturale e istituzionale per garantire che nessuno debba subire ulteriori umiliazioni nel cercare giustizia.
La vittimizzazione secondaria può manifestarsi in molti modi:
- Commenti inappropriati o giudicanti.
- Mancanza di empatia o comprensione da parte delle autorità.
- Lentezza o negligenza nel processo di giustizia.
- Pregiudizi culturali che minano la credibilità della vittima.
Questo atteggiamento non solo amplifica il trauma, ma spesso porta le vittime a chiudersi, a sentirsi sole e a perdere fiducia negli altri. È un circolo vizioso che può lasciare cicatrici profonde e difficili da guarire.
Quante sono le fasi del processo di vittimizzazione?
Per capire meglio questo fenomeno, è importante conoscere le fasi del processo di vittimizzazione. Si tratta di un percorso complesso, composto da tre momenti principali, ognuno dei quali rappresenta una sfida emotiva e psicologica per chi lo vive.
Vittimizzazione primaria
È il trauma iniziale, l’evento che sconvolge la vita della vittima. Può trattarsi di un reato, una violenza o un’esperienza di discriminazione. In questa fase, le emozioni sono intense e difficili da gestire: paura, rabbia, senso di impotenza e confusione si mescolano, lasciando la vittima vulnerabile.
Vittimizzazione secondaria
È qui che il dolore si moltiplica. Questa fase rappresenta il momento in cui la vittima, invece di ricevere sostegno, viene giudicata, sminuita o ignorata. È una forma di re-traumatizzazione, che spesso ha radici profonde nei pregiudizi culturali e nella mancanza di sensibilità.
Vittimizzazione terziaria
Questa fase si estende al contesto sociale più ampio. Spesso la società tende a minimizzare o ignorare l’importanza del trauma subito, lasciando la vittima sola a gestire le conseguenze. È il silenzio che pesa, l’indifferenza che isola e il vuoto che si crea attorno a chi chiede solo di essere ascoltato.
Perché è importante parlarne?
Parlare di vittimizzazione secondaria è fondamentale per creare una società più giusta e consapevole. Troppo spesso, le vittime si trovano a combattere due battaglie: una contro ciò che hanno subito e l’altra contro il giudizio altrui. È il momento di fermarsi e riflettere: quante volte, anche involontariamente, abbiamo chiesto “cosa hai fatto per meritartelo?” invece di dire “mi dispiace, come posso aiutarti?”
Empatia, ascolto e rispetto sono le chiavi per interrompere questo ciclo di dolore. Le istituzioni devono fare di più per garantire che le vittime ricevano il supporto necessario, e ognuno di noi può fare la differenza nel proprio piccolo, scegliendo di non giudicare, ma di accogliere.
Riconoscere la vittimizzazione secondaria è un primo passo. Agire per evitarla è il secondo. Solo così possiamo costruire un mondo dove le vittime trovino finalmente la forza di guarire, senza paura di essere ferite di nuovo.