Non c’è necessità di ricordare gli scontri sui social network, causati dai post pubblicati da ArciLesbica Nazionale in merito alle donne transgender. Ci riferiamo soprattutto a questo: I Am a Woman. You Are a Trans Woman. And That Distinction Matters . Ovvero: “Io sono una donna. Tu sei una donna transgender. E questa distinzione conta”.
Il succo del discorso è: le battaglie femministe per il diritto all’aborto, all’allattamento in pubblico, a non vedere trattato il proprio corpo come un oggetto sessuale, a non doversi vergognare del mestruo, alle pari opportunità sul lavoro, alla cura dell’infertilità sarebbero incompatibili con le istanze delle donne transgender. Le quali, per il fatto di essere nate anatomicamente maschili, non potrebbero comprendere fino in fondo le suddette istanze. L’articolo accusa le MTF di vera e propria invasione degli spazi prettamente femminili, come i forum sull’infertilità (“non possono capire cosa significhi avere un utero non funzionante”).
Donne cis e donne transgender secondo Arcilesbica
Ora, sulle differenze di vissuto tra una donna cisgender e una transgender si potrebbero fare interessanti considerazioni. È senz’altro vero che esse esistono. Sono le conclusioni tratte dall’articolo (e le conseguenti posizioni di Arcilesbica) a mettere in crisi le battaglie per la parità di genere e l’inclusione sociale delle persone transgender.
Perché il fulcro del discorso è questo: le nate femmine debbono continuare ad avere i propri spazi riservati. Riservati su base anatomica. Il riferimento è, in particolare, a spogliatoi e bagni pubblici. L’autrice del pezzo afferma di aver diritto a non essere costretta a vedere un pene in questo tipo di spazi. E adduce come motivo il suo trauma legato a uno stupro subito, che le farebbe desiderare “luoghi sicuri”, ovvero penis free. Il che significherebbe esclusione delle donne transgender da bagni condivisi e spogliatoi (e, magari, anche da reparti ospedalieri e carceri) col conseguente carico di imbarazzo che ne segue. Non possono più stare con gli uomini, per evidenti ragioni. Le donne biologiche (almeno quelle come costei) non le vogliono con loro. Dove dovrebbero stare? Sulla luna? È inutile ribadire il proprio appoggio al diritto di transizionare e di avere spazi “per transgender”, per poi adottare una posizione simile. Arriveremo ai closet solo per MTF/FTM? Forse, la soluzione è quella di fatto già adottata da molti locali: cubicoli singoli, e muoia Sansone con tutti i filistei.
Sicurezza e spazi riservati
L’autrice del pezzo (e, con lei, Arcilesbica) si fanno forti del suo essere “vittima di uno stupro”. In che modo l’aver subito violenza giustifica altre violenze? Perché allontanare le donne trangender dagli spazi sociali (anche fisici) che hanno faticosamente conquistato è proprio questo: violenza psicologica. E non di poco conto. Non bastano le complicazioni dell’anagrafe, i residui di patriarcato, il disprezzo per gli “scherzi di natura”, le censure religiose… Anche le “sorelle donne” ci si mettono. Una transgender non può capire per cosa si battono le femministe cis? Può darsi. Ma le femministe cis e le militanti lesbiche hanno capito per cosa si battono le sorelle MTF? Parrebbe di no. Altrimenti, non vi sarebbero fra loro quelle che intendono rafforzare la loro difficoltà a essere incluse nella società. Perché le persone transgender non vogliono “spazi sicuri”, non vogliono ghetti (almeno, non principalmente). Preferirebbero vivere in santa pace col resto del mondo, senza che si stia troppo a guardare nelle loro mutande.
Questo insistere sul trauma e sulla paura dello stupro, poi… non prende nella debita considerazione il fatto che anche le transgender conoscano questa cattiva esperienza. Forse, anche di più, per via dello stigma sociale. Le scusanti inserite nel pezzo sono deboli, in merito. E citerei anche una frase del beneamato Eddard Stark (direttamente da Il trono di spade): “Tutto quello che viene prima di ‘ma’ è una c*****a”. Non serve a nulla ribadire la propria solidarietà con le istanza transgender, per poi far seguire un discorso che rifiuta tutto quello per cui i militanti T si battono. È solo retorica.
Gli spazi separati per sesso servirebbero a tutelare la sicurezza (in particolare contro gli stupri), dice la blogger. Davvero? Davvero sono le MTF a mettere a rischio l’incolumità delle altre donne in bagni e spogliatoi? Ce le immaginiamo proprio, queste signore dal pene eretto che braccano le compagne per violentarle. È un tipo di argomentazione che ricorda da vicino la lesbofobia di chi non vuole “negli spazi riservati” le saffiche mescolate alle etero, per motivi simili (vedete qui: https://fuorilogo.me/2014/04/09/figa-di-pongo-omofoba/ ). Solo che, in questo caso, Arcilesbica si sarebbe stracciata le vesti per difendere le discriminate.
Comunque, visto che volete “spazi per sole donne dalla qualità bio garantita”, che scenario si prospetta? Quello di smutandamenti obbligati all’ingresso di spogliatoi e toilette, per verificare la genuinità dell’anatomia? O più caste esibizioni di documenti (per quelle che non hanno ancora cambiato genere anagrafico)? Se si prende sul serio la faccenda della separazione, non c’è altro modo praticamente possibile per realizzare i “paradisi delle vere donne”. Aggiungo una considerazione puramente personale: la preoccupazione per il rischio di “dover vedere un pene” in bagni e spogliatoi presuppone una situazione in cui, anziché preoccuparsi di sbrigare alla svelta i bisogni per cui i detti luoghi son fatti, si sta a osservare l’inguine delle compagne. Parbleu. Forse, a essere invadenti e inopportune non sono le transgender.
Ah, giusto: non vengono menzionate le intersessuali. Quelle che, biologicamente, non sono né maschi, né femmine – e che sarebbe inutile sottoporre all’ipotetico test dello smutandamento. Quale sorte spetterebbe a loro? Siamo ancora in attesa di un verdetto da parte dell’Alto Tribunale della Pura Razza Femminile.
“Le transgender ci rubano i premi” e altre querimonie
Altra questione: l’articolo postato da Arcilesbica menziona un’attrice transgender che, dopo aver vissuto a lungo come uomo, ha effettuato la transizione e ha vinto un premio riservato alle donne. Cosa presentata come “furto di un merito”. Insomma, “le transgender ci rubano i premi e il lavoro”. Capito? È una questione di vagina, non di talento. Sarebbe ora di eliminare le sezioni “maschili” e “femminili” dei concorsi, dato che si tratta di premiare performance e non forme di genitali. A ogni modo, care “donne vere”… se una parvenue vi soffia un premio, forse non bisogna prendersela con le transgender. Forse, c’è da eguagliare il loro rendimento professionale.
L’articolo in questione esprime rabbia anche per il fatto di dover controllare il proprio linguaggio, in modo da non scatenare le reazioni delle MTF. Fin da quando si è bambini (almeno, nel contesto sociale in cui sono cresciuta), è perfettamente normale apprendere che non si può lasciar scorrazzare la lingua come pare e piace, perché la sensibilità del prossimo e i buoni rapporti sono più importanti del dare fiato ai denti. Le parole fanno un effetto in bocca, e un altro negli orecchi, diceva il buon Manzoni. Non è propriamente un autore LGBT, ma, a volte, è un bene ascoltare anche lui. Strano davvero vedere persone adulte (perciò, si suppone, con un buon autocontrollo) lamentarsi del doversi comportare da tali. A ogni modo, se si sposa una visione trans-escludente, non ci si può lamentare delle reazioni esasperate delle dirette interessate. Si chiama “lotta” e nasce dalla rabbia per le discriminazioni continue. Le femministe dovrebbero saperne qualcosa. Se si rivendica la libertà di poter dire qualunque cosa, sarebbe bene accettare che l’abbiano anche gli altri… e che rispondano conseguentemente per le rime.
Unica istanza con la quale sono d’accordo: non si può obbligare una lesbica ad avere rapporti sessuali includenti un pene. Se il suo disgusto per questo organo è assoluto, non c’è molto da fare. De gustibus non disputandum. Vorrà dire che ci saranno più possibilità per noi bi- e pansessuali.
Concludo dicendo che la pubblicazione di questo post e di diversi altri denota, evidentemente, una presa di posizione da parte di Arcilesbica: l’esclusione delle istanze transgender dalla sua agenda. Anzi, il pezzo punta proprio il dito contro le MTF militanti, accusandole di alimentare movimenti che opprimono le (nate) donne. Ognuno è responsabile delle proprie scelte e Arcilesbica ha fatto la sua. Una scelta che mette in crisi il significato stesso di “eguaglianza” e “inclusione”, visto che privilegia il separatismo su base biologica. Probabilmente, non è una novità. Ma il ruolo delle “ragazze in viola” nelle battaglie LGBT, ora, scricchiola sempre più. Arcilesbica potrà ben continuare a crogiolarsi nella convinzione che siano le altre associazioni a non capir niente e ad accusarla immeritatamente di transfobia. Ma, se non erro, nessuno l’ha obbligata al separatismo o a determinate strategie comunicative. Si raccoglie ciò che si semina.
Appendice sul comunicato Arcilesbica Milano
Com’era prevedibile, diverse rappresentanti e sostenitrici di ArciLesbica hanno reagito accusandoci di “malafede”, “menzogna” e di “non aver letto l’articolo”. La capacità umana di negare l’evidenza sarà sempre sorprendente. Comunque, per dare un’ulteriore prova della nostra accanita malafede e ignoranza, alleghiamo la traduzione completa del pezzo.
Io sono una donna. Tu sei una donna trans. E questa distinzione conta
Zittita dagli uomini prima e ora dalle donne trans. Smetteranno mai le donne di vedersi tappare la bocca?
Ho domandato perché una donna nata con organi di donna sia ora considerata transfobica se vuole intrattenere conversazioni sulle distinte e indiscutibili differenze nelle esperienze di vita tra donne cis e trans. Ho domandato perché, quando le donne hanno affrontato violenza sistematica da parte degli uomini e una donna su sei viene violentata, sia sbagliato per le donne cis avere spazi solo per loro per sentirsi al sicuro in un mondo in cui non lo sono. E sono stata subito minacciata, etichettata come transfobica, e lasciata a sentirmi come se la mia voce non contasse nulla.
Sono arrabbiata. Arrabbiata perché, adesso, anche solo intavolare questi argomenti è visto come un atto di odio, discriminazione o intolleranza. Arrabbiata perché voler parlare chiaro è ora considerato istigazione all’odio. Sono arrabbiata perché, come donna che ha costantemente dovuto stare attenta al proprio linguaggio e comportamento davanti agli uomini per garantire la propria sicurezza, debbo ora sorvegliare il mio linguaggio anche di più, in presenza e a causa delle donne trans che hanno avuto esperienze e anatomia completamente diverse. Il linguaggio femminile su argomenti femminili è importante per molte donne cis, perché abbiamo combattuto anche solo per veder viste come valide le nostre identità e tematiche.
Ora, prima che voi facciate qualunque supposizione, lasciatemi essere chiara. Rispetto il diritto di chiunque ai propri pronomi, agli interventi chirurgici che vuole, a spazi sicuri, alla tolleranza, e al vivere da esseri umani con diritti umani e rispetto. E vi aiuterò a combattere per questo. Ma il mio essere nata con una vagina e il trattamento che ne consegue è importante nella conversazione sui diritti delle donne trans.
Allattamento al petto invece che allattamento al seno? Stiamo ancora combattendo perché l’allattamento al seno in pubblico sia considerato normale e naturale, invece che indecente e inappropriato.
Gente che dice che la parola madre non è inclusiva verso le persone transgender incinte, mentre le mamme combattono ancora per avere basici congedi per maternità e non perdere il proprio lavoro dopo aver avuto un bambino, e affrontano ancora situazioni molto pericolose legate al cattivo trattamento durante il parto.
Dire che, poiché tu sei una donna, il tuo pene è un pene femminile e dovrebbe essere visto come una vagina negli spogliatoi e negli spazi riservati alle donne? Le donne sopportano tuttora di vedersi inviare foto di c***i, di vedersi mostrare e di essere forzate a vedere peni quando mai abbiamo acconsentito a questo. Come sopravvissuta a uno stupro, ciò può essere particolarmente difficile per me.
Una ricca e famosa celebrità trans che è stata un uomo per tanti anni, vincendo premi e venendo rispettata come un uomo, di colpo diventa una donna e vince un premio per donne su donne che ne avevano assai più diritto.
Dire alle donne lesbiche che sono transfobiche se non chiudono un occhio sul pene di una donna trans non ancora operata. Addirittura manifestando con mazze [traduzione incerta] alla Chicago Dyke March per protestare contro questo “tetto di cristallo”.
Chiamare bigotto o transfobo chiunque osi riconoscere che anche dopo le operazioni, i genitali e il sistema riproduttivo di una persona trans sono diversi. Insistere che queste differenze non contano e non debbono contare per potenziali partner sessuali e anche tenere lezioni su come costringere le lesbiche a non aver problemi col pene. Nel sesso, ogni preferenza va bene (eccetto pedofilia, bestialità e aggressione). È sesso. Non dovresti sentirti forzata ad andare a letto con qualcuno perché il non farlo ti rende transfobica.
Donne trans che non hanno mai avuto o saputo cosa significhi avere un utero, che invadono i forum sull’infertilità, ignorando come sia del tutto diversa la battaglia per qualcuna che è nata con un utero non funzionante. Una lotta basilare per queste donne riguarda il non essere abbastanza donna nonostante abbia tutti gli organi e, quando una donna trans entra in questi spazi, le donne cis si sentono annullate, offese e arrabbiate. Ma hanno paura di dirlo, perché, quando lo si fa, vengono vomitati insulti.
Questi sono solo pochi esempi di quello che si trova su ogni forum che tratta dei diritti transgender.
Le donne che sono nate con la vagina hanno sempre subito una sistematica oppressione, che la vediate o no. NOI ce ne accorgiamo. I nostri sentimenti di vergogna e disgusto verso i nostri corpi quando arrivano i peli, il mestruo, le perdite bianche vaginali, anche la misura e l’aspetto della nostra vagina e le misure e l’aspetto del nostro seno sono reali e importanti da riconoscere. E sono rafforzati da come la società rappresenta tutti questi argomenti. Il modo in cui ci comportiamo è condizionato precocemente dall’assicurare che non precipitiamo mai le situazioni con gli uomini, dal portare sempre armi o mettere alla prova gli amici per assicurarsi l’incolumità, dal temere sempre lo stupro più dell’assassinio e sapere che, quando succederà, non saremo ascoltate e lui non andrà mai in galera.
E non sto dicendo che le persone transgender non affrontano a propria volta oppressione e sentimenti di disgusto, ma c’è un’enorme e importante differenza. E, che tu lo veda o no, se hai avuto un aspetto maschile per parte della tua vita, hai avuto una vita diversa dalla mia. Hai avuto privilegi, a prescindere dal fatto che tu ne fossi consapevole. E per nessun motivo l’oppressione e la violenza che hai subito convalida il tuo diritto a prevalere sulle donne nel discorso. Anche le donne affrontano quella m***a.
E non sto dicendo che non hai diritto alla transizione, ce l’hai. Ma io ho diritto a spazi per le nate donne. Ho diritto a un linguaggio che attualmente ho scarso permesso di usare. Ho il diritto a non essere costretta a non vedere un pene in uno spogliatoio, solo perché lo vedi come l’uccello di una signora. Io sono generalmente una che non ha problemi con la nudità, ma, come vittima di uno stupro, a volte non voglio essere esposta a un pene ed è per questo che, a volte, ho bisogno di spogliatoi per sole donne. E il tuo identificarti come femmina non diminuisce il livello di shock quando vedo improvvisamente un pene e non me lo aspettavo.
Ho il diritto di proteggere il linguaggio e l’esperienza dell’essere una donna dalla nascita perché non mi sono mai sentita uguale a un uomo. Perché il linguaggio è tutto quello che ho ed è mio. La mia vagina e il mio utero, ho le mie proprie questioni in merito e il fatto che tu voglia portarmi via il mio linguaggio riguardo a essi è solo un’oppressione di più per me. Mi sembra irrispettoso allo stesso modo, sia che venga da un uomo sia che venga da una donna trans. Le altre nate donne si opprimono l’una con l’altra allo stesso modo.
Questa battaglia contro il “tetto di cristallo” è oppressiva per le donne lesbiche che combattono ogni santo giorno per conquistare rispetto ed eguaglianza basate sulle loro preferenze sessuali. Sentirsi dire dalle donne trans di chiudere un occhio sulla faccenda del pene suona identica al modo in cui gli uomini spesso provano a bullizzare le lesbiche perché scopino con loro.
Dovrebbero esserci spazi sicuri per ognuno, ma non chiedere spazi sicuri per sole trans e invadere anche gli spazi per sole donne. Alcune di noi vogliono spazi per sole donne con la vagina e anche quello è giusto. Soprattutto quando il riscrivere le leggi sui bagni pubblici ci espone ai predatori.
Non chiamarmi transfobica quando combatto per il tuo diritto ai tuoi interventi chirurgici e alla tua tolleranza, e a usare i tuoi pronomi, mentre chiedo anche che la mia femminilità venga riconosciuta come diversa dalla tua.
Quando ho cercato per la prima volta di chiedere, nelle conversazioni e online, perché non ci sia modo per le donne cis di esprimere i propri bisogni in questa discussione, sono stata accolta con accuse, minacce e persino una minaccia di morte.
“Strozzati col mio c***o femminile, terf”. Ho ricevuto questo da molti individui su un forum online. Ci sono molti spazi dedicati interamente a donne che hanno osato esprimere questi sentimenti e, nel farlo, hanno ricevuto centinaia di minacce, molestie sessuali, e minacce di aggressione sessuale, spesso da persone transgender.
Chimamanda Ngozi Adichie si è esposta cercando di discutere le distinzioni tra donne e donne trans ed è stata praticamente crocifissa. Anche Julie Bindel, Jane Murray e Germaine Greer hanno affrontato minacce, venendo espulse, private della parola agli eventi e censurate in altri modi per aver fermamente sostenuto le differenze tra femmine e maschi.
Provare anche solo a parlare di questo e di come ci fa sentire significa essere istantaneamente etichettata come “terf”, chiamata antifemminista e minacciata.
Basta censurare il mio linguaggio. È già censurato dagli uomini, non ho bisogno che anche il vostro gruppo delle donne trans lo faccia.
Sto vedendo svanire i miei diritti di controllo delle nascite, il mio diritto all’aborto, allo stare in topless. Sto vedendo i predatori sessuali incedere intorno alla Casa Bianca. Sto vedendo le donne che allattano i propri bambini ricevere strilli e molestie e venir svergognate per l’atto più naturale. Sto venendo forzata a vedere il mio corpo come puramente sessuale ogni santo giorno quando vengo apostrofata per strada o accedo a siti d’incontri. Devo scegliere tra conformare il mio corpo agli standard maschili e rischiare di venire ostracizzata da loro. Anche scegliere di non truccarmi, o di non volere una maternità, mi marchia come non abbastanza donna.
Non è giusto che quell’1% della popolazione che è transgender si aggiunga a queste oppressioni. E non è giusto che tu, nella tua battaglia per i tuoi diritti, ignori la mia voce e calpesti i miei diritti.
Ti chiamerò col tuo pronome, combatterò per il tuo diritto alla sicurezza, alla chirurgia, a spazi sicuri per trans e anche a spazi trans-includenti per donne, ma devi anche farti andar bene il fatto che io voglia il mio linguaggio e i miei spazi per sole cis. Sei ipocrita, se non lo fai. Tutte e due stiamo affrontando battaglie e non posso immaginare cosa tu stia passando, ma nemmeno tu puoi figurarti la mia realtà.
Non è transfobico volere qualche spazio solo per cis. Non è transfobico voler mantenere un po’ del mio linguaggio per il quale già combatto tutti i giorni. Non è transfobico esprimere il mio disagio verso alcune cose che il movimento transgender sta facendo nei confronti dei miei diritti.
Se il movimento delle donne transgender vuole tutte le donne al proprio fianco, il modo per ottenere il nostro supporto non è ignorarci quando urliamo le differenze e diamo voce ai nostri bisogni di donne nate donne, ciò ci rende solo più difficile aver voglia di ascoltarti.
Il movimento delle donne transgender non può essere un altro movimento che opprime le donne, ma sembra in via di diventarlo. C’è spazio per tutte e due nel genere femminile, ma solo se hai la volontà di ascoltare anche la mia versione e riconoscere anche qui i miei bisogni.
Uno degli attacchi più comici delle “femministe” alla risposta del Milk è stata l’accusa di malafede per “aver scritto spazi riservati su base anatomica, mentre invece si parla di vissuti”. Provate un po’ a dire che l’autrice del pezzo (e le sue sostenitrici) non badano all’anatomia, quando qui si parla continuamente di utero, vagina, woman parts. Quando si parla di “non far entrare le trans negli spogliatoi”, per paura che si veda il loro uccello. Quando si dice che la modifica delle leggi sui bagni pubblici esporrebbe le donne (anzi, le vagine) ai predatori (che sarebbero, per forza di cose, le persone transgender, visto che il problema dei bagni pubblici riguarda loro).
Per di più, il pezzo contrappone polemiche “inutili” sull’uso di parole come “maternità”, proprio mentre “ci sono ancora in corso le battaglie per l’allattamento al seno in pubblico o perché le mamme non perdano il lavoro”. Insomma: ci risiamo. Ho litigato a sufficienza con Sentinelle in Piedi, sostenitori del Family Day e fasciocomunisti per sapere dove ho già trovato questo tipo di benaltrismo.
Come donna cis, trovo anche piuttosto arrogante il fatto che il pezzo usi il “noi” per indicare tutte le nate femmine. Mi spiace, ma nessuna (per quanto femminista) può arrogarsi il diritto di parlare a nome di tutte le donne, e nemmeno di tutte le vittime di stupro. Non ho mai provato disgusto per il mio corpo, né le altre emozioni qui descritte. Persino le altre vittime di stupro che ho conosciuto non hanno una reazione tanto assoluta contro il pene – perlomeno, non ne fanno un manifesto pubblico. Quanto al “linguaggio che avrei scarso permesso di usare”, non so bene quale sia. Non mi faccio problemi a parlare di qualunque cosa (mestruo compreso) con chicchessia (maschi compresi). Non ho l’ossessione del “proteggere le mie esperienze e i miei spazi di nata donna”. Altro discorso è la protezione dell’incolumità, che non riguarda solo le donne. Tanta fatica per eliminare la segregazione femminile, per poi ricascarci dentro volontariamente… Che gusto ci sarebbe?
Non mi sento “annullata” dalla presenza delle transgender nei miei spazi e non sento continuamente il bisogno di rinfacciare loro la mia “differenza di biologia e di vissuto”. Riconoscere questa differenza è obiettività. Sottolinearla perennemente e in pubblico è scelta. Una scelta che non si sa bene dove voglia andare a parare, se non alla parcellizzazione di battaglie e talora di spazi fisici, come gli spogliatoi. Addirittura, sarebbero offensive le translesbiche che vogliono far riconoscere la propria esistenza nelle manifestazioni. Basta dunque dire che si è transgender e lesbica allo stesso tempo per essere “una che vuol costringerti ad andare a letto con un pene”? Pubblicare una cosa del genere sulla pagina di ArciLesbica Nazionale e difenderla strenuamente non può essere un caso, o una fatalità. Lascio perdere il mucchio di mezze verità con cui la posizione del Milk è stata accolta. Basti dire che il post citato contiene un’affermazione piuttosto dubbia circa la presunta censura di Germaine Greer.
Qualcuno ha detto che “spiace che io non abbia menzionato gli attacchi squadristi subiti da ArciLesbica”. Non è proprio così: ho parlato di scontri fin dall’inizio del pezzo. E ho confermato che l’associazione non può lamentarsi, perlomeno se permette alle sue rappresentanti principali di usare un certo tono. Qualcuno ha persino detto che gli scontri d’agosto hanno “svelato la misoginia e il lato violento del mondo LGBT”. Insomma, essere contrari al femminismo differenzialista è misoginia: altra storia già sentita. “Il lato violento” è quello composto dalle tensioni onnipresenti in seno al mondo LGBT: tensioni legate ai vissuti difficili e allo stesso stress delle diverse militanze. Ma proprio chi è consapevole dell’esistenza di una polveriera non dovrebbe andare a buttarci un cerino acceso. Per poi fare la vittima e lamentarsi delle risposte a tono. Non abbiamo bisogno di “femministe” che ricordano alle transgender che “non sono donne come le altre”, “che non dovrebbero invadere spazi non loro” e che “hanno avuto privilegi maschili”. Ci pensa già il resto della società a farlo.
Erica Gazzoldi